mercoledì 11 febbraio 2015

Riflessi di madre&figlia

Questa settimana vorrei mettere in luce alcuni aspetti del complesso rapporto che c'è tra ogni madre e la propria figlia, in particolar modo nel periodo della pre-adolescenza e dell'adolescenza.
Parto da questo periodo proprio perché in questo momento avviene la ricerca della separazione da parte della figlia, provocando stupore nella madre. 
Quando i propri figli crescono, le madri (ma anche i padri) potranno avere la sensazione di trovarsi davanti un'estranea e non la propria amabile bambina che fino a pochi anni prima le era attaccata con un'intensa energia affettiva.
Questa diviene una lotta interiore per ogni madre, che può chiedersi: 
chi ho davanti a me?
In cosa ho sbagliato?
Quali sono i nuovi bisogni di mia figlia?

Come ricreare il dialogo tra noi?

E' sicuramente spiazzante trovarsi, da madri, di fronte a questa evoluzione.
In fondo ci ricorda l'adolescente che siamo state...
e come non confrontarci  con l'adolescente che abbiamo ora in casa?
Ma i confronti non sono finiti:

questa volta siamo noi nel ruolo di madri e come non paragonarci a nostra madre,
a quello che ci diceva lei nella nostra adolescenza?
A quello che ci permetteva di fare e cosa invece non tollerava di noi?

Nel rapporto tra madre e figlia adolescente ognuna proietta (sposta sull'altra) cose di sé che fatica ad accettare e che rifiuta.
Ad esempio la madre che vive il ruolo della propria mamma e sposta sulla figlia i comportamenti che aveva nella propria adolescenza... (magari quella stessa mamma fa fatica ad accettare che sua figlia abbia quei comportamenti che lei non è mai riuscita a intraprendere.)
Tutti questi intrecci si riuniscono in una domanda tagliente:
come faccio ora a gestire mia figlia?



Ricordandoci che in questo interrogativo si mette in discussione anche
il nostro ruolo di madre d'oggi e di figlia di ieri.


A questo punto si renderà evidente una separazione dalla figlia vista come tenera bambina di prima, per lasciare spazio alla sua crescita nel percorso del divenire una donna.
Da madri, l' istinto ci guida nel sogno di tenere i nostri bambini al riparo da qualsiasi “male”; nonostante questa tendenza ci sono limiti che possiamo e dobbiamo rispettare.
Come scrive Judith Viorst:

“Dovremo abbandonare molte delle nostre speranze su quanto avremmo potuto fare per loro. E dovremo, naturalmente, lasciare che essi se ne vadano.
Perché, così come i bambini a poco alla volta devono separarsi dai genitori, anche noi dovremo separarci da loro. E probabilmente soffriremo, come la maggior parte delle madri (e dei padri), di una certa angoscia di abbandono.
Perché la separazione è la fine della dolce simbiosi.
Perché la separazione riduce il nostro potere e il nostro controllo.
Perché la separazione ci fa sentire meno importanti.

E perché la separazione espone al pericolo i nostri figli.”

( Judith Viorst, "Distacchi", 2004 pag.206-207)

La consapevolezza della necessità di tale distacco può essere il primo passo di questo duro periodo.
Anche perché, a loro volta, le separazioni dolorose della nostra infanzia possono condizionare i distacchi con i nostri figli.

Ad esempio se avremo sperimentato l'assenza di nostra madre potremmo negare o evitare la separazione, per essere sicure di dare a nostra figlia quello che la nostra mamma non ci ha dato.
Teniamo presenti:

quali erano i miei bisogni da piccina?

E quali sono invece quelli di mia figlia?

Sono veramente sue queste richieste?

O ricalcano quelle che io non ho potuto fare ai miei genitori?



Non a caso questi dipinti raffigurano due bimbe nello stesso spazio;
nel rapporto madre-figlia teniamo conto di esser sempre in due:
due figlie ,
due bambine ,
due adolescenti ,
due giovani donne ,
due madri a confronto.

La consapevolezza deve esser tenuta presente per non fondere i nostri bisogni con quelli di nostra figlia e non unire la nostra infanzia-adolescenza con la sua.
Proprio in questa divisione avviene la prima separazione tra ogni madre e la propria figlia.
Vi lascio riflettere con queste preziose parole:


“Lasciare i figli significa anche lasciarli essere ciò che vogliono, e significa abbandonare le aspettative che si hanno per loro.
Perché consciamente o inconsciamente, persino prima della nascita, facciamo dei sogni sul tipo di figli che vorremmo.
E dato che crediamo (e speriamo) di essere genitori migliori di quelli che abbiamo avuto, ci aspettiamo di generare figli migliori di quelli che loro avevano generato.

Ad ogni occasione avremo delle aspettative su di loro, che verranno soddisfatte ma che potranno anche essere deluse. Crescendo sotto il nostro stesso tetto, verranno esposti ai nostri valori, ai nostri stili, alle nostre opinioni.
Ma lasciarli andare significa anche rispettare il loro diritto a scegliere che forma dare alla propria vita.
Lasciare che i figli vadano, e abbandonare i nostri sogni per loro, sono perdite da annoverare tra quelle necessarie.

(Viorst, "Distacchi", 2004 pag. 211-212) 
Buona settimana,
Barbara

Nessun commento:

Posta un commento