giovedì 27 novembre 2014

LE DONNE CHE LEGGONO SONO PERICOLOSE.. 3

Questo giovedì si riparte con un articolo della famosa scrittrice Chiara Gamberale, che ho letto su Vanity Fair..
In questo racconto si sente la solitudine di una bambina ed il timore di legarsi alle persone, tanto da inventarsi l'esistenza di un gatto immaginario che non potrà mai avere nella vita reale (perché tra l'altro ne è allergica..).
Ne diviene un sostituto ideale per affrontare  le proprie paure e per confrontarsi con gli altri: chi "crederà" nell'esistenza di quel gatto potrà avere la sensibilità di mettersi in contatto con quella bambina..
Da questa storia mi chiedo
...quanto spesso Donne Nuove vi private della possibilità di avere un rapporto autentico e che vi renda felice?
"Tutti a me capitano...
anche questa volta quello sbagliato...
cos'ho di così tanto disastroso che poi tutto svanisce così?
ma è sfortuna questa?!; ...."
Sono le voci che vi riempiono di interrogativi vuoti nelle delusioni..

Ma realmente quanta possibilità vi date di sperimentarvi in un rapporto?
Di viverlo sentendo che ve lo potete meritare e permettere..
 anzi potete avere anche molto di più di quelle frustrazioni,
grossi rospi da mandar giù e rimpianti che si moltiplicano.

Buona ricerca di "quel gatto", che sia per voi Donne Nuove
  "il tempo per sognare, per sperare, per avere paura, per amare"
ed il "dispositivo" ,che come un navigatore, vi indichi quei legami autentici che non incateneranno la vostra spontaneità di Donne.

Barbara


Da bambina ero allergica a tutto.

Alle graminacee, al latte, al lievito, alle fragole, al sole. 
Se mia madre e mio padre litigavano, fosse pure per chi doveva portare giù la spazzatura, il dispiacere che sentivo si trasformava subito in terrore, il terrore in una vertigine, la vertigine in una specie di nausea e prendevo a vomitare.
Anche se qualcosa mi faceva felice: un regalo perfetto che non m’aspettavo, un tramonto particolarmente fucsia, l’invito alla festa del bambino del doposcuola con i riccioli e gli occhi biondi. Niente da fare: mi veniva da battere le mani, da ridere. 
Un attimo dopo quella risata s’ingolfava e diventava un attacco d’asma.

Ma, soprattutto, ero allergica ai gatti.
 
Che naturalmente erano la mia grande passione. 
- Un gatto, voglio un gatto.- Ripetevo di continuo.- Datemi un gatto e non vi chiederò più niente, mai più.- Promettevo.
 Finché la micia grassa e rossa del portiere partorì: e il mio gatto arrivò.
 Non avevo neanche fatto in tempo a trovargli un nome, che cominciai a tossire. Forte, più forte. Poi a coprirmi di macchie. Nella notte i miei genitori mi portarono di corsa al pronto soccorso, e la mattina il gatto senza nome era scomparso.

La mia allergia a tutto, invece, restava. 
Dalle elementari passai alle medie. Ogni giorno si aggiungeva qualcosa da cui dovermi tenere a distanza, perché non mi provocasse reazioni pazze: la vernice che usavamo durante Educazione Artistica. La polvere della palestra. Il sorriso di Daniele della I C. 
Le chiacchiere segrete, nel bagno delle femmine, fra Maddalena e Gaia, che parlavano di baci, di mani sotto alla maglietta. L’odore del gesso e del cancellino. Quel soffio versato dalle labbra di Gaia all’orecchio di Maddalena, al banco dietro il mio:- Oggi Daniele della I C mi ha chiesto se quando usciamo da scuola può accompagnarmi a casa. 
-
Fu così che, in quei giorni, incontrai Semola. – E’ un gattino randagio, l’ho trovato in una scatola di scarpe, nel cortile del mio palazzo.- Raccontavo.- L’ho chiamato Semola, come il protagonista de La spada nella roccia, avete presente il cartone animato? Il mio gattino è un po’ giallo e un po’ arancione, non si capisce bene. Proprio come i capelli di Semola, appunto.-
Non parlavo d’altro.

- Vieni al cinema con noi, sabato pomeriggio?- Mi chiedevano Gaia e Maddalena.

- Non posso, Semola ha una brutta infezione agli occhi, devo portarlo dal veterinario.- Rispondevo.
- Tu che sei tanto brava in Italiano…Me la scriveresti una lettera d’amore per Gaia?
- Mi chiedeva Daniele.
- Perdonami, ma in questi giorni non ho un istante libero. Ho iscritto Semola a una gara di bellezza per gatti di strada organizzata dalla parrocchia. Devo stargli dietro, lucidargli il pelo, pettinargli i baffi. Cose così.

Semola, Semola e Semola: mi addormentavo stringendolo a me, gli compravo palline colorate, gomitoli, era la mia preoccupazione costante, era la mia gioia.
Peccato che fosse invisibile.
I miei genitori erano oramai abituati alle mie stranezze: non si scomponevano più di tanto, quando ogni mattina aprivo il frigo, prendevo il cartone del latte che io non potevo bere, e ne versavo un po’ in una ciotola, perché Semola facesse colazione.
Anche per i miei compagni di classe scoprire la verità, di lì a pochi mesi, non fu motivo di grande stupore.
 Non ero sicuramente al centro dei loro interessi, anzi, semmai facevo di tutto per restarne ai margini. Avevano i brufoli, i misteri che improvvisamente gli esplodevano all’altezza della pancia, le figurine, le passeggiate da scuola a casa, avevano i baci a cui pensare. 
Figuriamoci che cosa gli importava se un gatto fosse vero o fosse immaginario.
A volte mi davano un pezzo della loro merenda:- Tieni, è per Semola.- 
O mi proponevano di tenerlo con loro, nel fine settimana. 
D’altronde c’era chi aveva l’insufficienza in Matematica, chi aveva le orecchie a sventola, chi era figlio unico e chi aveva i genitori divorziati: io avevo un gatto invisibile. Tutto qui. Qualcuno a cui però Semola non era affatto indifferente c’era: ed era Valerio Panetti. Valerio aveva un cromosoma di troppo, era più alto di tutti noi, di tutti noi più grosso. Urlava quando non c’entrava niente, all’improvviso, magari durante un compito in classe, si metteva a cantare la sigla di un cartone animato, se gli girava prendeva a correre attorno ai banchi, ti rubava una gomma, un pennarello e poi apriva la porta della classe e via, su e giù per le scale della scuola. Aveva un’insegnante solo per lui che somigliava incredibilmente a Lydia Grant, la maestra di danza di Saranno Famosi, e che ogni tanto s’infilava le mani nei riccioli e piangeva:- Non ce la faccio più, Valerio. Ti prego. Non ce la faccio più.-

Ma se tutto, per Valerio, era uno spunto per comportarsi come pareva a lui, Semola no.
 Non lo era. Semola era qualcosa per cui valeva la pena fermarsi.
 Quando era stato chiaro a tutti che quel gatto in realtà non esisteva, infatti, mi ero sentita finalmente libera di portarlo in classe con me. Lasciavo lo zaino aperto, perché non soffocasse, e lo tenevo lì. 
A ricreazione gli facevo fare un giretto per i corridoi. Valerio cominciò presto a seguirci. - Semola! Semola!- Gridava, con quel suo vocione. E rideva. – Posso accarezzarlo?- Domandava. – Posso tenerlo in braccio?-. Lydia Grant, con un cenno della testa, mi pregava di rispondere di sì. 
Io sollevavo Semola e lo passavo dalle mie braccia a quelle di Valerio. Che accarezzava l’aria. Beato.


Sono passati trentacinque anni.
Così com’era entrato nella mia vita, Semola è uscito. Senza fare rumore. Nemmeno ricordo come e quando un giorno mi sono svegliata e lui non c’era più.
Anche le allergie, a un certo punto, sono sparite tutte.
Se l’è portate via la vita, quella vera. 
All’improvviso non c’era più tempo per evitare le fragole, la polvere e il sole.

Sono arrivati gli amori.

Sono arrivati i dolori.

Sono arrivate le gioie.

Ho avuto tre figli e due mariti.

Molti amici.

Sono diventata una scrittrice.

Ho avuto lettori.

Ma domani è Natale e stasera, al tavolo di questa pizzeria, sono sola.
- Vorrei avere il tuo coraggio o comunque la tua incoscienza. Però non ce l’ho.
A lasciare la mia famiglia, come hai fatto tu, non ce la faccio.- Mi ha detto lui, oggi pomeriggio.
– Non abbiamo più l’età, per fare follie. Sappiamo tutti e due che la realtà è più forte delle emozioni.Rovinerebbe comunque tutto, vincerebbe comunque lei…che senso ha combattere? - Ha aggiunto
.
- Quindi fra noi è finita?
-
 No. Ma deve finire.
-
Ha ragione, mi dico, e ordino un’altra birra. 
Guardo la mia immagine riflessa sul boccale vuoto.
Non ho più l’età: è evidente.
Esiste un tempo per sognare, per sperare, per avere paura, per amare. 
Poi tocca alla realtà. E vince su tutto. Rovina.
 Quello che eravamo, quello che avremmo potuto essere, quello che non saremo mai.

Non rimane più nessuna traccia in noi di tutti quei sogni, di quelle speranze? No.
Che senso ha combattere?
Che senso ha avuto farlo per un altro amore, perché fosse l’ultimo, perché mi sembrava il primo?
Nessun senso.
Arriva l’altra birra.

Alle mie spalle la porta della pizzeria cigola, si apre, cigola, si chiude.

- C’è un tavolo libero, per due?- Chiede una voce maschile.
- Certo, accomodatevi.
E?

E di colpo qualcosa d’enorme rotola ai piedi del mio tavolo.

Ci metto un po’ a realizzare che si tratta di un uomo.

E’ accucciato per terra, agita le mani per l’aria. Sta masticando una parola, ma non la capisco. Poi invece sì. 
Sta dicendo: Semola.
- Semola. Semola.- Ripete, commosso e felice, Valerio Panetti.
Gli si avvicina 
un ragazzo gentile, con gli occhi buoni.

- Mi scusi.- Dice. 
E prova a convincere Valerio a rialzarsi.

- Non si preoccupi.- Dico io.- Lo lasci fare.

Valerio alza lo sguardo, cerca il mio:- Aoh, è rimasto uguale!- 
Vorrebbe sussurrare ma urla, con il suo vocione.

- Il muso gli s’è tutto imbiancato, questo sì…Ma è sempre Semola. Dài, non mi graffiare però.

E continua ad accarezzare l’aria:
- Semola. Oddio! Questo è proprio Semola! -.
Semola.
Oddio. 
Quello è proprio Semola.

Il ragazzo gentile è confuso, non capisce.

- E’ Semola.- Gli spiego io.

- Semola?

- Semola, sì. E’ un gatto. Non lo vede?

- …no.
- 
Peccato. Mi dispiace per lei.

Mi accuccio sotto al tavolo, vicino a Valerio.

- Shhh.- Mi fa lui.- Guarda…Si è addormentato. E’ così bellissimo. No?

- Sì. Sì, Valerio. E’ così bellissimo.

martedì 25 novembre 2014

DONNE A PEZZI? ..L'arte di ri-metterli insieme..

Donna Nuova questa settimana parte dalla Giornata Contro la Violenza sulle Donne..

Ho associato a questa giornata, l'immagine che ci dipinge quando “mettiamo insieme i nostri Pezzi”: spesso costrette, raramente lo facciamo di punto in bianco..
Fare questo significa rivedere le parti di noi che non apprezziamo, che giudichiamo "poco serie, poco comprensibili, inaccettabili.." o che consideriamo deboli da mascherare in primis a noi stesse.
Ma tutto ciò ha un sapore di ri-nascita..
perché l'arte di rimettere insieme le nostre parti è l'unica arma che possiamo sfoderare per poter crescere e superare le crisi interiori che ci colgono impreparate.


Per questa giornata ho scelto una delle pagine di un libro che sto leggendo, pensando al momento in cui le donne decidono di smettere di subire ogni tipo di violenza non solo con il partner ma in generale nei rapporti più cari..
Che sia un augurio Donne Nuove per smettere di stare zitte, di pazientare, di illuderci in speranze irrealizzabili.. per abbracciare la vera realtà.. e Noi stesse..
Buon martedì contro ogni tipo di violenza..
Barbara

  “Un amore finito male, un matrimonio fallito, i figli che lasciano la casa.
Di solito comincia così il cammino della donna verso una reale emancipazione.
Comincia sempre con un dolore, un abbandono, una perdita. 
Comincia sempre, e procede, faticosamente.
Fino a quel momento, noi donne siamo state troppo assorbite dal compito di amare gli altri: il marito, il compagno, i figli.
E' un compito impegnativo che richide, almeno così crediamo e ci hanno insegnato, una dedizione assoluta.
Questo compito ci ha fatto dimenticare i nostri sogni più riposti, i nostri slanci, le nostre speranze di adolescenti. 
Ci siamo estraniate da noi stesse e non sappiamo più ritrovarci.
Dieci, vent'anni passano in un soffio. Ci guardiamo alle spalle solo quando un evento speciale ci scuote all'improvviso e ci coglie impreparate: uno di quegli eventi che sconvolgono la vita, come la fine di un amore o la perdita di qualcuno che amiamo.
Allora andiamo in crisi, ci lamentiamo, ci deprimiamo e consumiamo altre energie preziose nel vano tentativo di ottenere comprensione e solidarietà da parte degli altri: partner di turno, amici, figli. Sempre guidate dal bisogno di trovare conferme e consenso fuori di noi, come se da sole non fossimo in grado di riconoscere il nostro valore.
Molte donne si arrendono: preferiscono lasciarsi vincere dalla loro sofferenza, sentendosi ingiustamente vittime dell'incomprensione degli altri.
Altre si ostinano a battere e ribattere gli stessi sentieri: pensano ogni volta che sia la volta buona, che finalmente andranno incontro a un futuro smagliante. 
Al contrario, si allungherà inevitabilmente la lista delle delusioni e dei fallimenti.
BISOGNA AVER CORAGGIO DI FAR PIAZZA PULITA, ABBATTERE I PILASTRI SUI QUALI AVEVAMO EDIFICATO LE CERTEZZE DELLA NOSTRA VITA, CAMBIARE I RIFERIMENTI, TROVARE MATERIALE NUOVO PER EDIFICARE UNA CASA CHE POSSIAMO RICONOSCERE COME NOSTRA.
Solo soltanto gli anni dell'infanzia quelli in cui ci è consentito, o dovrebbe esserlo, affidarci a una figura adulta che si assuma la responsabilità della nostra vita.
Solo allora abbiamo diritto di aspettarci che qualcun altro risolva i nostri problemi, lenisca le nostre ferite e ci risollevi dalla fatica di vivere.
In seguito nulla ci verrà risparmiato e pagheremo di persona.."

"QUANDO, ARRIVA IL MOMENTO DEL RISVEGLIO, LE DONNE CHE SONO CAPACI DI RIVOLTARE LA LORO VITA COME UN GUANTO, SCOPRIRANNO RISORSE INASPETTATE E UNA DETERMINAZIONE AL CAMBIAMENTO CHE NIENTE E NESSUNO RIUSCIRA' PIU' AD ARRESTARE."

(Tratto da "Meglio sole"  di Ivana Castoldi, ed. Feltrinelli)

giovedì 20 novembre 2014

LE DONNE CHE LEGGONO SONO PERICOLOSE..2 ...Che sia l' Inizio.. DONNE IN RINASCITA

Per questo giovedì cercavo delle parole che parlassero della Rinascita della Donna, del suo rimettersi in piedi e della sua Crescita, anche se spesso forzata, ma che impone sempre una scelta: di non continuare a farsi del male (come parlavamo nei legami distruttivi) ma di "aprire l' ombrello" e prendersi cura di sé stessa..
Ho trovato le parole anonime di questa Donna, in una serie di poesie di Donne:

"Senti che caldo fa questa mattina
viene voglia di spalancarsi al sole
di cambiare l'aria alle ferite.
Voglio fiorire in mezzo alla gramigna
con la pupa, il gelsomino, il fresco
della menta piperita sotto i denti.
Ci vuole poco a crederlo possibile
con questo sole che tocca (così)
come uno che ti vuole bene."

E come non riportare le parole di  Diego Cugia, alias Jack Folla in "Donne in Rinascita"..?

Vi lascio a questa lettura Donne Nuove.. 
perché...  "È la primavera a Novembre. Quando meno te l'aspetti..."

Barbara


"Più dei tramonti, più del volo di un uccello, la cosa meravigliosa in assoluto è una donna in rinascita.

Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe, dopo la caduta.
Che uno dice: è finita.
No, non è mai finita per una donna.
Una donna si rialza sempre, anche quando non ci crede, anche se non vuole.


Non parlo solo dei dolori immensi, di quelle ferite da mina anti-uomo che ti fa la morte o la malattia.

Parlo di te, che questo periodo non finisce più, che ti stai giocando l'esistenza in un lavoro difficile, che ogni mattina è un esame, peggio che a scuola.
Te, implacabile arbitro di te stessa, che da come il tuo capo ti guarderà deciderai se sei all'altezza o se ti devi condannare.
Così ogni giorno, e questo noviziato non finisce mai.
E sei tu che lo fai durare.

Oppure parlo di te, che hai paura anche solo di dormirci, con un uomo; che sei terrorizzata che una storia ti tolga l'aria, che non flirti con nessuno perché hai il terrore che qualcuno s'infiltri nella tua vita.
Peggio: se ci rimani presa in mezzo tu, poi soffri come un cane.
Sei stanca: c'è sempre qualcuno con cui ti devi giustificare, che ti vuole cambiare, o che devi cambiare tu per tenertelo stretto.
Così ti stai coltivando la solitudine dentro casa.
Eppure te la racconti, te lo dici anche quando parli con le altre: "Io sto bene così. Sto bene così, sto meglio così".
E il cielo si abbassa di un altro palmo.

Oppure con quel ragazzo ci sei andata a vivere, ci hai abitato Natali e Pasqua.
In quell'uomo ci hai buttato dentro l'anima ed è passato tanto tempo, e ne hai buttata talmente tanta di anima, che un giorno cominci a cercarti dentro lo specchio perché non sai più chi sei diventata.
Comunque sia andata, ora sei qui e so che c'è stato un momento che hai guardato giù e avevi i piedi nel cemento.
Dovunque fossi, ci stavi stretta: nella tua storia, nel tuo lavoro, nella tua solitudine.
Ed è stata crisi, e hai pianto.

Dio quanto piangete!
Avete una sorgente d'acqua nello stomaco.
Hai pianto mentre camminavi in una strada affollata, alla fermata della metro, sul motorino.
Così, improvvisamente. Non potevi trattenerlo.
E quella notte che hai preso la macchina e hai guidato per ore, perché l'aria buia ti asciugasse le guance?

E poi hai scavato, hai parlato, quanto parlate, ragazze!
Lacrime e parole. Per capire, per tirare fuori una radice lunga sei metri che dia un senso al tuo dolore.
"Perché faccio così? Com'è che ripeto sempre lo stesso schema? Sono forse pazza?"
Se lo sono chiesto tutte. 

E allora vai giù con la ruspa dentro alla tua storia, a due, a quattro mani, e saltano fuori migliaia di tasselli. Un puzzle inestricabile.
Ecco, è qui che inizia tutto. Non lo sapevi?
E' da quel grande fegato che ti ci vuole per guardarti così, scomposta in mille coriandoli, che ricomincerai.
Perché una donna ricomincia comunque, ha dentro un istinto che la trascinerà sempre avanti.
Ti servirà una strategia, dovrai inventarti una nuova forma per la tua nuova te.
Perché ti è toccato di conoscerti di nuovo, di presentarti a te stessa.
Non puoi più essere quella di prima. Prima della ruspa.

Non ti entusiasma? Ti avvincerà lentamente.
Innamorarsi di nuovo di se stessi, o farlo per la prima volta, è come un diesel.
Parte piano, bisogna insistere.
Ma quando va, va in corsa.
E' un'avventura, ricostruire se stesse.
La più grande.
Non importa da dove cominci, se dalla casa, dal colore delle tende o dal taglio di capelli.


Vi ho sempre adorato, donne in rinascita, per questo meraviglioso modo di gridare al mondo "sono nuova" con una gonna a fiori o con un fresco ricciolo biondo.
Perché tutti devono capire e vedere: "Attenti: il cantiere è aperto, stiamo lavorando anche per voi. Ma soprattutto per noi stesse".

Più delle albe, più del sole, una donna in rinascita è la più grande meraviglia.
Per chi la incontra e per se stessa.
È la primavera a novembre.
Quando meno te l'aspetti..."


lunedì 17 novembre 2014

LEGAMI DISTRUTTIVI… Che cosa sono?

Abbiamo spesso parlato di “legami patologici-distruttivi” ma non abbiamo mai descritto che cosa sono di preciso..
Spesso sentiamo parlare di tossico-dipendenza fino ad arrivare alle “nuove” dipendenze “da sesso, gioco, social network,..” ma di DIPENDENZA AFFETTIVA si parla gran poco..
Una relazione distruttiva con un uomo mette in luce questo tipo di dipendenza, che Robin Norwood, descrive con il vissuto delle “DONNE CHE AMANO TROPPO”…
Cosa significa questa frase, che può sembrare banale?

Significa diventare dipendente dal giudizio di quell’uomo con cui stiamo, dalla sua affettuosità, dai suoi sbalzi di umore..
Significa non riuscire a fare a meno di un legame che fa passare più tempo a rimurginare ed a sperare in un futuro cambiamento, senza vedere mai un risultato..
Come dice Robin Norwood:

Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo.
Quando nella maggior parte delle nostre conversazioni con le amiche intime parliamo di lui, dei suoi problemi, di quello che pensa, dei suoi sentimenti, stiamo amando troppo.
Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo cattivo carattere, la sua indifferenza, o li consideriamo conseguenza di un’infanzia infelice e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo.
Quando non ci piacciono il suo carattere, il suo modo di pensare e il suo comportamento, ma ci adattiamo pensando che se noi saremo abbastanza attraenti e affettuose lui vorrà cambiare per amor nostro, stiamo amando troppo.
Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo.” 





Questo tipo di rapporto è evidente quando abbiamo un partner incompatibile con i nostri bisogni, 
che non si prende cura di noi ma “vede solo lui e le sue priorità” nella relazione.
Nonostante questo,però, non riusciamo a lasciarlo: 
più tentiamo di distaccarci, più desideriamo ritorni in tono di scuse da noi promettendo il “famoso” cambiamento..

In questo legame si offre il proprio amore sperando che quell’uomo diminuisca le nostre paure e le nostre insicurezze, ma in realtà aumentano sempre di più..


Se siamo immerse in questo legame chiediamoci..
  Passo più tempo a sperare che cambi qualcosa, piuttosto che a sentirmi serena?
Mi sento in dovere di rimanergli accanto, nonostante tutto.. sennò lo "abbandonerei"?
Quando smetto di comportarmi come lui vuole (mando giù, paziento, giustifico tutto,..) e prendo il coraggio di parlare anche dei miei bisogni e delle mie paure lui che reazione ha? Mi ascolta veramente? "Gli va bene" ugualmente?

Che sia un lunedì di ascolto interno di voi stesse Donne Nuove perché:

"La prima fase del recupero dell'amare troppo inizia quando diventiamo consapevoli di quel che facciamo e vogliamo risolutamente smetterla"

                                                                  (R. Norwood "Un pensiero al giorno")

Buona settimana!
Barbara


giovedì 13 novembre 2014

LE DONNE CHE LEGGONO SONO PERICOLOSE... 1

Benvenute nella Rubrica del Giovedì!
Questo Spazio vorrebbe essere più "diretto" degli appuntamenti del Lunedì per stimolare le vostre riflessione con l'aiuto delle pagine di libri che ci fanno RI-SCOPRIRE... RITORNARE A NOI STESSE.. FARCI GUARDARE LE DIFFICOLTA' CON UN'ALTRA PROSPETTIVA..
Il nome della rubrica non a caso è il titolo di un affascinante libro (di Stefan Bollmann e Elke Heidenreich) che afferma la nostra "pericolosità" quando siamo in modalità lettura.. magari con una bella tazza di thè a fianco..
Pensare che in passato la lettura al popolo femminile è stata vietata per parecchio tempo, quasi per tenerci lontane da quello che le parole possono farci riscoprire.. come scrive Daria Bignardi:

"Le donne che leggono sono pericolose perché non si annoiano mai e qualunque cosa accada hanno sempre una via di fuga: se ne infischiano se le fai troppo soffrire perché loro s’innamorano di un altro libro, di un’altra storia, e ti abbandonano. Le donne che leggono sono pericolose perché nutrono i loro sogni e non c’è nulla di più rivoluzionario di una donna che sogna di cambiare la propria vita: se lo fa, farà la rivoluzione, se non lo fa seminerà il terrore."


Stasera vi lascio questa pagina..
Si parla del bisogno di idealizzare il partner, di rimanere intrappolate in una relazione che vive grazie alla nostra speranza di cambiare quell'uomo e che mira a vedere i bisogni altrui, mettendo in secondo piano i nostri.. 


..Che sia per voi uno spunto a cui collegare i "blocchi" delle vostre vite, quei dubbi che spesso si presentano prima del caffè la mattina, tra gli interrogativi che non hanno un granché di risposte...

Buona lettura Donne Nuove!
Tratto da "Un pensiero al giorno (per donne che amano troppo) di Robin Norwood
Barbara





lunedì 10 novembre 2014

Quando E' ORA di aprire "l'ombrello" nei legami distruttivi..

Quando fuori piove a dirotto, e dobbiamo uscire per forza.. chi non apre l'ombrello per ripararsi?

Di solito ognuna di noi lo porta con sé ma nelle relazioni distruttive, questo "oggetto"che ci protegge, invece lo dimentichiamo puntualmente..

Virginia ci parla qui 
(http://donneincontatto.blogspot.it/2012/09/perche-le-donne-sanno-essere-cosi.html)
di auto-distruttività nelle donne e la mia metafora si riferisce proprio a questo.

Spesso quando le donne vivono rapporti non appaganti con i loro uomini, si innesca un meccanismo di donna che da vittima di quell'uomo ne diviene anche persecutrice ovvero colei che nonostante tutto resta ed è pronta a comprendere, metter da parte ogni cosa.. ogni rispetto per sé stessa.

L'uso del simbolo dell'ombrello lo vorrei associare a quel momento in cui queste Donne decidono di spezzare il circolo vizioso in cui subiscono e nello stesso tempo non riescono a rinunciare a quell'uomo.
Nonostante “la pioggia” di quella relazione sia paragonabile a degli spilli dolorosi, non c'è speranza di farne a meno.. non si vede possibilità di fuggirne via e si continua a restare immobili.
Quando le donne "prendono l'ombrello" e lo aprono per ripararsi da questa “pioggia” che brucia la loro creatività , prendono ancora più consapevolezza dei giochi dannosi che con quell'uomo stanno agendo e si stancano di essere attrici di un qualcosa che non ha speranza..
Questo passaggio significa vedere le cose da un'altra prospettiva, accorgersi che quel legame non restituisce nulla se non frustrazione.. significa fare i primi passi per allontanarsi, staccarsi e proteggersi..




Questo lunedì di tanti ombrelli è il riflesso di tutte quelle donne che, rese esauste da una relazione che lacera, scelgono di ripararsi e di prendere consapevolezza dei giochi di relazione che stanno vivendo in quel momento..
Chiedetevi..  
 Che cosa si sta ricreando, ora tra noi, che conosco da molto ormai? 
 ..Questo rispecchia l'ennesimo “tira e molla”, il suo solito “non lo faccio più..                                perdonami!” o si riattiva quel gioco di potere tra chi “cede” e chi “resiste”?
 In che relazione state ri-capitando?

                                                      
                                       Il cambiamento è inevitabile.
                           Procedere (andare avanti) è una scelta.


Buoni primi passi con “l'ombrello” Donne Nuove!

Barbara

domenica 2 novembre 2014

DA CHE "FINESTRA" VI STATE GUARDANDO?

PER OGNI FINESTRA UNA PROSPETTIVA "NUOVA"


Donne Nuove, sempre di corsa alla ricerca di voi stesse
o immobili, imprigionate nei vostri dubbi...
fermatevi e prendetevi il tempo di “guardare dalla finestra” della vostra casa (o dentro di voi?)..


Adoro usare questa metafora per segnare il momento che prendiamo per guardare
i nostri dubbi, paure, preoccupazioni, dilemmi senza risposte
DA UN' ALTRA ANGOLAZIONE, che c'è sempre stata dentro di Noi
ma che non abbiamo mai guardato DA Lì i problemi che sembrano ingabbiarci..
Quando viviamo dei legami distruttivi, degli amori senza risposte, delle amicizie che deludono,
la nostra mente si fa alcune volte la peggior nemica..
Continua a riproporci i “dilemmi” sempre dallo stesso punto di vista e
sempre riponendoci le stesse domande senza risposte..
Risultato?
Sentirci impotenti, rassegnate a dover vivere quel dispiacere, quella frustrazione senza scampo..

Mi piace citare la metafora di un grande pensatore, Ferrucci, :

" Sono in ritardo per prendere il treno.
La mia auto è bloccata nel traffico.
Preso dall'ansia, penso che sarei dovuto partire prima, penso a tutte le conseguenze che avrà il mio ritardo, quanta coda ci sarà per prendere il biglietto, c'è un treno dopo, che faccio se perdo il treno, ecc.
In quel momento la vicenda del treno MI COINVOLGE IN MODO TOTALE, quasi fosse la mia intera esistenza.
DIMENTICO LA MIA REALTA', LE MIE CAPACITA', I MIEI PROGETTI.
C'è solo il ritardo. "



Nel mio lavoro spesso mi capita di assistere a vissuti di impotenza di fronte a situazioni che ci bloccano e  ci tolgono ogni possibilità “di ribellarci”..
Ci identifichiamo totalmente in quella relazione senza futuro e finiamo per dimenticare chi veramente siamo.
E quello che semplicemente con il tempo ci fa sentire più leggeri ,per uscire da questa “trappola” mentale, è distanziarci e guardare le cose al di fuori, come fossimo degli spettatori di noi stessi per tirarci fuori dai ruoli di sempre e darci la possibilità di affrontare diversamente il “problema” che ci assilla..








Quindi oltre che augurarvi buon inizio della settimana, vi invito a RI-cercare la “finestra” che avete dentro di voi che vi farà guardare le cose diversamente e vi farà porre delle domande diverse dalle solite...

Buon panorama Donne Nuove!


Barbara